Solvent surfactant gels Wolbers

Preparazione e utilizzo solvent surfactant gels Wolbers

Abbiamo già discusso come, dal punto di vista strettamente chimico, il successo di un’operazione di pulitura effettuata con solventi organici stia nell’abilità a sciogliere certi materiali (la vernice, o più in generale il materiale filmogeno superficiale da rimuovere) senza invece solubilizzarne altri (quelli originari dell’opera, presenti negli strati sottostanti).

Questo può avvenire utilizzando solventi che abbiano una polarità simile a quella del materiale resinoso costituente la vernice, e sufficientemente dissimile da quella degli altri materiali, così da garantire la selettività di azione. Quando invece le polarità del materiale da rimuovere e dei materiali costitutivi sono troppo simili, la pulitura è a rischio, e per poterla compiere con un certo margine di sicurezza si devono adottare delle precauzioni operative che limitino la diffusione del solvente negli strati più interni.

In realtà, però, è difficile pensare ad una vernice come ad uno strato dalle caratteristiche omogenee in tutti i suoi punti, e quindi avente tutto la stessa polarità.
Lo strato, infatti, riflette le caratteristiche dello strato di colore sottostante: il suo diverso contenuto di legante nelle varie campiture cromatiche, e quindi il suo diverso grado di alterazione e la sua disomogenea acidità e polarità.
Il restauratore spesso si rende conto di questa discontinuità nella pratica della pulitura: la miscela solvente sembra agire di più in certe zone, di meno in altre.

Piuttosto che mettere a punto una miscela solvente a polarità costante che possa “centrare” la polarità del materiale superficiale in tutte le sue zone questo il ragionamento di Wolbers cerchiamo di riunire nella stessa preparazione componenti a polarità deterse, anche diametralmente opposte, che possano quindi essere attori su tutta la superficie.
Per mantenere la selettività d’azione superficiale sarà però indispensabile dare alla miscela altissima viscosità, in modo da reprimere la diffusione dei componenti sotto la superficie.
Così, detto in maniera un po’ semplificata, sono nati i Solvent Gels. Ma vediamo di descriverne più in dettaglio i vari componenti.

I Solvent Gels
L’addensante utilizzato è l’Acido Poliacrilico, l’omopolimero dell’Acido Acrilico (CH z =CH COOH), una macromolecola avente la struttura mostrata nello Schema I.
Questa molecola ha due caratteristiche peculiari: le dimensioni e la funzionalità acida.

Innanzitutto, se consideriamo che il Peso Molecolare di questa macromolecola può arrivare fino a 3.000.000 4.000.000 Dalton, e che quello del monomero costituente è 70 Dalton, ne consegue che il polimero può contenere anche 40.00055.000 monomeri legati fra loro: dimensioni enormi dunque, anche superiori a quelle, ad esempio, di una proteina.Le catene di queste macromolecole, che nello Schema abbiamo indicato per semplicità in forma lineare, sono in realtà “avvolte” in forma raggomitolata.
I gruppi Carbossilici, acidi, presen ogni due atomi di Carbonio, possono essere salificati per azione di una base, producendo i corrispondenti anioni Carbossilato ( COOH > COO ).ti Quando questo avviene, tra le cariche elettriche negative formatesi si esercitano forze repulsive che tendono ad allontanarle reciprocamente: questo costringe, per così dire, la macromolecola a “distendersi”.

Queste lunghe catene, potremmo dire simili a strutture fibrose, sono ora in grado di impartire grande viscosità al liquido in cui sono sciolte: così l’Acido Poliacrilico, quando neutralizzato anche solo parzialmente con una base, esplica la sua azione addensante.
La base che reagisce salificando l’Acido Poliacrilico, viene a trovarsi “chimicamente legata”, in forma di sale, alle macromolecole dell’Acido stesso.

Qualunque base, ad esempio l’Idrossido di Ammonio, potrebbe svolgere quest’azione di neutralizzazione.
Se però utilizziamo una base che abbia anche proprietà tensioattive, come un’Ammina Polietossilata, otteniamo un secondo, importante risultato: il complesso Acido Poliacrilico/Base acquista anche proprietà tensioattive, cioè di emulsionante e di detergente.
Possiamo così riassumere i vantaggi che si ottengono da questa particolare combinazione dei due reagenti:

l’Acido Poliacrilico, l’addensante, per le sue dimensioni molecolari ha verosimilmente poca tendenza a diffondere nella porosità del materiale; quando salificato con un’Ammina Etossilata, forma il corrispondente sale e manifesta proprietà addensanti; l’addensante e il tensioattivo sono ora chimicamente legati tra loro: in altre parole, l’addensante acquista ora anche proprietà tensioattive; l’Ammina Polietossilata, che di per sé sarebbe un componente non volatile, con forte capacità di diffondere sotto la superficie e forte ritenzione dentro gli strati, trovandosi “ancorata” ad una macromolecola acquista azione superficiale.

A questo punto, come componenti liberi restano i solventi organici e l’acqua. Anche questi, però, trovandosi in un gel ad altissima viscosità hanno limitata possibilità di diffondere sotto la superficie.
In queste preparazioni viene dunque massimizzata l’azione superficiale e repressa quella di diffusione sottosuperficiale dei vari costituenti. La loro azione è confinata alla superficie, e la rimozione del gel ci dà la garanzia di rimuovere efficacemente tutti i componenti.
Nella preparazione si utilizza l’agente neutralizzante, l’Ammina Etossilata, non in quantità stechiometrica (necessaria cioè a reagire con tutti i gruppi Carbossilici presenti sull’Acido Poliacrilico, l’addensante), ma in difetto, così da ottenere solo parziale salificazione dell’Acido Poliacrilico, sufficiente a provocare la “distensione” delle macromolecole, e quindi l’addensamento della soluzione.
Per quanto riguarda l’Acido Poliacrilico, il prodotto commerciale più facilmente reperibile è il Carbopol, e per l’Ammina Etossilata il prodotto Ethomeen.5

Preparazione
La preparazione è semplice, alla portata del comune restauratore, e non richiede eccessivo bagaglio di conoscenze chimiche.
A parte i reagenti specifici, non necessita di attrezzatura sofisticata: comune vetreria da laboratorio, cilindri e pipette graduate, cartina indicatrice per il pH. Utile, ma non indispensabile, un agitatore magnetico riscaldante e un miscelatore elettrico con alimentazione a batteria.
Indipendentemente dai solventi utilizzati, la preparazione segue sempre quest’ordine:

Con Ethomen C  25
per prima cosa si uniscono l’addensante Carbopol o Pemulen  (2 g) e il tensioattivo alcalino Ethomeen C25  (12 ml), mescolando bene fino ad ottenere un impasto omogeneo, avendo cura di rompere con una spatola eventuali grumi formatisi.
Poi si aggiungono 100 ml di solvente o miscela di solventi organici continuando il mescolamento
Infine si aggiungono 10 – 15 ml di acqua demineralizzata
Mescolare bene dopo l’aggiunta di ogni componente.
L’acqua da ultimo causerà la gelificazione: l’aggiunta deve essere graduale, mescolando bene

Con Ethomen C  12
per prima cosa si unisce 80 ml di solvente o miscela di solventi con l’addensante Carbopol o Pemulen (2 g)
poi si aggiunge il tensioattivo Ethomeen C12  (14 ml), mescolando bene
Infine si aggiungono 1,5 ml di acqua demineralizzata
Mescolare bene dopo l’aggiunta di ogni componente.
L’acqua da ultimo causerà la gelificazione: l’aggiunta deve essere graduale, mescolando bene

L’agitatore magnetico può semplificare l’operazione di mescolamento.
Poi si aggiungono i solventi organici  continuando il mescolamento.
Da ultimo, l’aggiunta di acqua  causa l’addensamento della soluzione.
Per quest’ultima operazione è molto utile la vigorosa agitazione prodotta da un miscelatore elettrico del tipo mostrato.
Si ribadisce che, vista la possibile presenza di solventi altamente infiammabili, è assolutamente sconsigliato l’uso di un miscelatore alimentato da corrente di rete.

Sono disponibili vari tipi di Carbopol, diversi tra loro per dimensione molecolare e quindi, dal punto di vista applicativo, per la viscosità che impartiscono alle soluzioni: precisamente, in ordine di viscosità crescente abbiamo i tipi 941, 934 e 940.`
A questi livelli, comunque elevatissimi, di viscosità la differenza tra un tipo e l’altro si può ritenere trascurabile: i vari tipi possono dunque essere considerati equivalenti.
Dal punto di vista della reperibilità può essere più semplice ricorrere al tipo Ultrez 10, commercializzato in quantità inferiori rispetto agli altri.`

Quest’ultimo tipo, più facilmente idratabile, è più conveniente in quanto utile anche per la preparazione di semplici gel acquosi acidi o basici ad alta viscosità.’
In alternativa al Carbopol, si può acquistare il prodotto chimico Acido Poliacrilico.’
Per quanto riguarda l’Ethomeen, invece, i tre tipi più spesso citati nella letteratura sono il C12, il C15 e il C25, diversi tra loro per solubilità.”
Se consideriamo i loro valori di Numero HLB (un parametro numerico caratteristico dei tensioattivi che specifica la idrosolubilità, quando HLB > 10, o liposolubilità, quando HLB < 10) abbiamo, rispettivamente: HLB 10 per il primo, HLB 13.9 per il secondo e HLB 19 per il terzo.
Il carattere idrofilo, dunque, aumenta dal primo (che è praticamente liposolubile) al terzo (idrosolubile).
In pratica si utilizzano solo il primo e il terzo per preparare Solvent Gels nel modo seguente: Ethomeen C12 con solventi apolari (Idrocarburi Alifatici come Essenza di Petrolio o di Tremcntina, o Aromatici come il Toluene) ed Ethomeen C25 con solventi più polari (Alcoli, Chetoni come l’Acetone, Esteri come l’Etilacetato).

Il C25, in particolare, è quello più ampiamente utilizzato, vista la maggior utilità pratica di preparazioni contenenti solventi polari.
Sono poi state proposte formulazioni più semplici, nelle quali per neutralizzare il Carbopol si usano semplici basi come l’Idrossido di Ammonio, l’Idrossido di Sodio o la Trietanolammina.
Queste basi però non hanno anche capacità tensioattiva (solo la Trietanolammina, in quanto Amminoalcool ne ha, ma molto debole). Di conseguenza queste preparazioni non sono da considerare dei veri Solvent Gels, ma piuttosto delle semplici soluzioni ad alta viscosità addensate con Carbopol.

Utilizzo
I Solvent Gels sono applicati alla superficie da trattare e lasciati agire indisturbati, oppure lavorati con un tamponcino di cotone o con un pennello, a seconda del caso particolare (irregolarità superficiali, rilievi di colore). Il tempo di applicazione è in generale breve, da trenta quaranta secondi a pochi minuti: difficile, comunque, dare delle regole generali, in quanto la composizione del gel specifico, il tipo di materiale e lo spessore dello strato influenzano l’azione, che dovrà dunque essere verificata caso per caso.

Il modo migliore, almeno all’inizio, è sempre quello di saggiare continuamente la zona coperta dal gel con un tamponcino asciutto di
cotone, per verificare il livello d’azione. Chiaramente l’applicazione deve riguardare una zona circoscritta della superficie, per evitare tempi molto diversi da una zona all’altra entro un’area troppo grande.
Quando l’azione è ritenuta sufficiente il gel viene rimosso con un tamponcino asciutto di cotone. La zona trattata è poi lavata a tampone con una miscela di solventi: Wolbers stesso suggerisce Alcool Isopropilico ed Essenza di Petrolio 1:1 oppure Acetone ed Essenza di Petrolio 1:1. Da ultimo si effettuano lavaggi con sola Essenza di Petrolio.

Questa procedura di lavaggio è fondamentale e merita alcune considerazioni.
Perché la rimozione del gel sia veramente efficace, i solventi utilizzati per il lavaggio devono effettivamente sciogliere il gel: in altre parole devono avere polarità simile a quella dei solventi utilizzati nel gel stesso, senza però avere azione diretta di solubilizzazione nei confronti della vernice (o, più in generale, del materiale filmogeno) su cui è applicato il Solvent Gel, così da non continuarne l’azione di pulitura.

È pertanto raccomandabile mettere a punto una miscela adatta al caso specifico, prima di iniziare il trattamento di pulitura con il gel.
Si può partire dalla miscela Alcool Isopropilico ed Essenza di Petrolio 1:1, più polare (fd64), verificandone l’azione su una piccola zona della vernice: se si ha effetto solvente si proverà l’altra miscela, Acetone ed Essenza di Petrolio 1:1, meno polare (fd 68.5).
Se l’effetto solvente continua, si diminuirà la percentuale di Acetone, fino a trovare una composizione adatta che non abbia diretta azione solubilizzante della vernice.
Ad esempio, con una miscela di Acetone ed Essenza di Petrolio 1:9 si può scendere fino ad un valore di polarità pari a f. 85.7.

Un caso rappresentativo
La scultura lignea policroma della Madonna con Bambino, mostrata in Figura 1, è parte dell’altare ligneo dorato, collocato nella navata destra della chiesa di San Bartolomeo a Portacomaro, Asti.
L’altare, dedicato alla Madonna del Santo Rosario, di autore ignoto, è databile al XVIII secolo.

È costituito da una mensa scolpita sopra la quale vi sono il tabernacolo, i gradini e due colonne scanalate che sorreggono l’architrave con timpano spezzato.
Al centro dell’altare è la statua della Madonna, circondata da quindici tele dipinte raffiguranti i Misteri del Rosario, attorniate da intagli lignei a foglie e volute dorate.
Sulla sommità è posta una statua di San Sebastiano di piccole dimensioni, inserita in una nicchia architettonica del timpano.
L’opera è realizzata in legno (pioppo, noce e abete) dorata e dipinta di azzurro; le quindici tele sono eseguite a olio. Bracci reggicero sono inseriti ai lati dei Misteri, per illuminarli.

La scultura lignea, di buona esecuzione, appariva parzialmente ridipinta.
Il colore originale era stato ritoccato in un precedente intervento che aveva però lasciato integre le decorazioni dorate e la meccatura originali, e alcuni particolari quali gli occhi della Madre e del Bambino.
L’apertura, eseguita a bisturi, di numerosi tasselli sulla superficie ha permesso di stabilire che sotto le ridipinture ottocentesche la policromia originaria era generalmente presente in buone condizioni: si è così deciso di recuperarla con l’azione di pulitura.

Questo esempio è ben rappresentativo dell’intervento su sculture lignee policrome: spesso considerate come semplici “oggetti d’uso” all’interno dell’ambiente ecclesiastico, piuttosto che come opere di espressione artistica, questi manufatti mostrano comunemente svariati strati di ridipinture successive, eseguite periodicamente come “manutenzione” nei confronti dell’oggetto.
Pulitura, in questo contesto, può pertanto significare completa rimozione di uno o più strati pigmentati, piuttosto che semplice asportazione di materiali di deposito superficiale o assottigliamento di una vernice alterata cromaticamente, come più spesso nel caso dei dipinti mobili.

La rimozione di strati pittorici presenta una serie di difficoltà operative: spesso questi strati sono tenaci e di difficile solubilizzazione, e si deve fare ricorso a reagenti acidi o alcalini, che oltre alla scarsa selettività nei confronti dei materiali presenti spesso comportano anche notevole rischio di tossicità per l’operatore.
L’alternativa è la rimozione meccanica, eseguita a bisturi: nel caso di ridipinture oleose sopra un legante già parzialmente decoeso, si verifica spesso l’impossibilità di un’azione selettiva anche in questo modo.
Il colore sottostante, infatti, risulta essere più coeso alla ridipintura soprastante che non al supporto.

La pulitura, che localmente consisteva anche nella rimozione dello strato di ridipintura, è stata affrontata con la consueta modalità, partendo dall’esecuzione del Test di solubilità di Feller’° per verificare se l’azione di solubilizzazione potesse procedere attraverso il semplice meccanismo di tipo fisico esplicato dai solventi organici neutri.
Si trovava così che:
una miscela con polarità Fd 90 era sufficiente ad effettuare l’operazione di pulitura superficiale dell’Argento meccato;
una miscela a polarità molto maggiore, Fd 47 era efficace nel sciogliere le reintegrazioni locali della doratura eseguite con porporina;
la ridipintura sopra il manto era intaccata dalla polarità ancora maggiore, Fd 36, dell’Alcool Etilico;
le zone cromatiche corrispondenti agli incarnati, al velo e al basamento erano invece resistenti all’azione solvente.

L’intervento veniva dunque differenziato in questo modo.
Per la pulitura della doratura si utilizzava Essenza di Petrolio per le zone di Argento meccato e Acetone per la rimozione delle ridipinture a porporina.

Per la pulitura del manto, invece, l’azione solvente dell’Alcool Etilico poteva essere resa quantitativa semplicemente prolungandone il tempo d’azione: si otteneva questo risultato usando Alcool al 99%, decolorato con
Carbone, gelificato con Idrossipropilcellulosa (2.5% peso/volume).’
Il gel applicato per pochi minuti veniva poi rimosso a secco e con successivi lavaggi alcoolici. Nella Figura 3 si può apprezzare il livello di pulitura così ottenuto sul manto.
Le prove di pulitura continuavano sulle zone del velo e degli incarnati con i solventi dipolari aprotici (Dimetilsolfossido in concentrazioni dal 5 al 50% in volume in Etilacetato) e con gli alcali (soluzioni ammoniacali e Carbonato d’Ammonio sciolto nell’Emulsione Cerosa).
In entrambi i casi, però, si raggiungeva un livello di pulitura troppo spinto, con evidenti segni di abrasione sul colore sottostante.
Si optava quindi per un’azione più selettiva con i Solvent Gels: dopo alcune prove, la composizione più idonea risultava essere Acetone e Alcool Benzilico in rapporto volumetrico 4:1.

Le Figure 2 e 3 mostrano l’azione di pulitura, rispettivamente, sul velo e sugli incarnati.
La Figura 4 evidenzia il bel risultato ottenuto sul viso della Madonna.
A differenza dell’azione con gli alcali, le zone pulite si presentavano prive di sbiancamenti: la leggerissima alcalinità del Solvent Gel (pH 7.5 8) non è infatti sufficiente a causare salificazione di materiali a carattere acido (olii e vernici invecchiate), con i conseguenti fenomeni di opacizzazione o sbiancamento.
Differenziando in questo modo l’azione sulle varie zone si è condotta la pulitura dell’intera scultura.
La Figura 6 mostra la statua al termine del restauro.

Considerazioni sull’utilizzo

Quali solventi possono essere usati nei Solvent Gels? Possiamo rispondere tutti.

Con l’accortezza di utilizzare il tipo di tensioattivo adatto, Ethomeen C25, idrosolubile, o Ethomeen C12, liposolubile, si possono usare, rispettivamente, solventi polari (Alcoli, Chetoni, Esteri, Dimetilsolfossido) o apolari (Idrocarburi alifatici o aromatici, come Essenza di Petrolio, Essenza di Trementina, Dipentene, Toluene).

Per le mescolanze di solventi, se non si seguono preparazioni già descritte, si può seguire un’utile procedura:` si avrà sempre pronta una certa quantità di gel ottenuto mescolando fra loro Carbopol, Ethomeen C25 e Acqua, nelle quantità descritte più sopra.

Per sapere se un certo solvente o miscela di solventi è compatibile con questa formulazione, si preleva una piccola quantità di gel su una spatola e la si immerge nel solvente o miscela.
A seconda che il gel resti trasparente o diventi opaco si concluderà che quel tipo di solvente è, rispettivamente, compatibile o incompatibile con la formulazione. Nel caso di incompatibilità si farà ricorso all’altro tipo di tensioattivo, l’Ethomeen C12.

Alcune miscele descritte dallo stesso Wolbers Z sono ad esempio le seguenti (dove le percentuali sono espresse in volumi):

per la rimozione di vernici oleoresinose, 80% Alcool Etilico e 20% Xileni;

per la rimozione di resine sintetiche o ridipinture ad olio, N Metil 2pirrolidone;

per la rimozione di resine sintetiche, 80% Acetone e20% Alcool Benzilico; per la rimozione di vernici: 90% Alcool Isopropilico e 10% Alcool Benzilico.

Nella scelta di solventi organici, si raccomanda comunque di tenere in considerazione la tossicità di certi prodotti.” Si sottolinea ancora una volta come l’utilizzo di prodotti chimici di buona qualità sia in generale garanzia di minore potenziale di rischio per l’operatore: pertanto nelle note si forniscono indicazioni circa solventi di qualità adeguata.”
In una delle preparazioni sopra riportate, ad esempio, si consiglia di utilizzare il Dimetilsolfossido al posto del NMetil 2 pirrolidone: l’efficacia nei confronti di ridipinture ad olio resta invariata,” con una minore tossicità del solvente.

L’elevatissima viscosità di queste preparazioni si traduce anche in condizioni di utilizzo più sicure per l’operatore: limitando l’evaporazione dei componenti, si riduce di conseguenza l’esposizione ai vapori.
Così un solvente come il Toluene, di cui si sconsiglia l’uso se non in piccolissime quantità, può essere utilizzato con minor rischio all’interno di un Solvent Gel (pur sempre con le opportune precauzioni).

Un materiale filmogeno che si riscontra con frequenza sulla superficie pittorica di dipinti è il materiale proteico. Esso può derivare da una colla animale utilizzata per il consolidamento dello strato pittorico, o da residui di una colla per velinatura, o da colla migrata sulla superficie durante una foderaturadi colla di pasta, oppure ancora da una colla pigmentata utilizzata come patinatura della superficie pittorica.
Non infrequente sui dipinti è anche l’utilizzo di albume, in funzione di patinatura/verniciatura della superficie.

La co-presenza di questo materiale proteico complica l’azione di solubilizzazione di una vernice: è dunque inevitabile, in questi casi, fare ricorso a sostanze alcaline (come l’Idrossido d’Ammonio o i solventi organici alcalini come la n Butilammina, la Morfolina o la Piridina) o acide (come le soluzioni di Acido Acetico).

Sappiamo però che il Collagene, costituente principale delle Colle animali, è almeno parzialmente solubile in solventi organici neutri quali il Glicole Etilenico e il 2,2,2 Trifluoroetanolo, o in solventi dipolari aprotici quali il Dimetilsolfossido.` Si è così pensato di inglobare questi solventi in un Solvent Gel da utilizzare per la rimozione di materiale proteico. Dopo alcune prove, si è verificato che una miscela di 80% Etilenglicole e 20% 2,2,2 Trifluoroetanolo ha in effetti una certa efficacia nella solubilizzazione di una vernice contaminata da materiale proteico.

La “controversia” sui Solvent Gels.

Anche queste preparazioni, fin dalla loro comparsa, hanno attratto con 12,16 18 sensi e critiche.i,9,
Queste ultime, in particolare, riguardano la presenza del componente Ethomeen all’interno delle formulazioni: essendo non volatile, la sua forte ritenzione negli strati interni potrebbe rappresentare un fattore di degrado per l’opera trattata. Alla base di queste preoccupazioni c’è il dubbio che l’Ethomeen sia efficacemente “legato” all’addensante: trovandosi in forma libera dentro il gel potrebbe dunque diffondere sotto la superficie.

Una recente tesi di diploma al Vittoria and Albert Museum di Londra” ha esaminato criticamente la letteratura pubblicata, arrivando alla conclusione che molte di queste critiche sembrano in realtà essere basate su un’intransigente presa di posizione piuttosto che su dati di fatto.
Da tempo Wolbers stesso proponeva uno studio applicativo approfondito per quantificare l’eventuale presenza di residui dopo il trattamento con un Solvent Gel di una superficie dipinta. Nel novembre 1998 finalmente questo desiderio si è concretizzato in California nel progetto “Surface Cleaning Systems Gels” presso il Getty Conservation Institute (GCI) di Los Angeles, con la collaborazione delle seguenti istituzioni: The University of Delaware, The Winterthur Museum, The Getty Museum, The California State University at Northridge.

Lo studio applicativo consisteva nel trattare con un Solvent Gel composto di Alcool Isopropilico e Alcool Benzilico la superficie di un dipinto vandalizzato. Il gel era “marcato isotopicamente”, cioè preparato con componenti radioattivi (4C e ‘H). Attraverso precise misure della radioattività rimossa (dai tamponcini di pulitura) e di quella residua (sulla superficie alla fine del trattamento) si poteva stabilire con grande precisione la quantità di residui lasciati.`
Per verificare se anche la manualità dell’operatore avesse importanza nel determinare la quantità di residui, operatori da paesi diversi furono invitati a partecipare.
Durante una visita in Italia, nella primavera del ’98, il direttore del laboratorio scientifico del Getty invitò rappresentanti dall’Istituto Centrale del Restauro di Roma e dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.
Il primo istituto declinò l’invito, mentre il secondo aderì con la partecipazione di Roberto Bellucci, capo restauratore del settore dipinti, e gentilmente estese l’invito anche ad uno degli scriventi, Paolo Cremonesi.
Gli altri partecipanti, oltre a Wolbers stesso e al personale del GCI, erano: Aviva Burnstock dal Courtauld Institute of Art in Londra, Johann Koller dal Doerner Institut in Monaco, Katharina Walch dal Bayerisches Landesamt fiir Denkmalpflege in Monaco, Joe Fronek dal Los Angeles County Museum in Los Angeles, Mark Leonard dal Getty Museum in Los Angeles, e Chris Stavroudis restauratore privato in Los Angeles.

Il risultato della lunga e complessa analisi dei tamponcini utilizzati e di frammenti delle superfici pulite sarà presentato ufficialmente nel 18° Congresso Internazionale” Tradition and Innovation: Advances in Conservation” organizzato dall’IIC (International Institute for Conservation) in Melbourne, il prossimo settembre 2000.2’
Senza anticipare questi risultati, ci limitiamo a dire che la quantità di residui trovati è molto bassa, a conferma dell’ottima azione superficiale di queste preparazioni.

Qui vogliamo solo fare alcune considerazioni.
In primo luogo constatiamo ancora una volta l’assenza dell’Istituto Centrale.
Assenza tanto più grave in quanto alcuni rappresentanti di questa Istituzione si arrogano comunque il diritto di criticare questi metodi con supposta “cognizione di causa”, ma senza essere in grado di avvalorare queste critiche con alcuno studio applicativo.

In secondo luogo vogliamo far notare l’onestà e l’integrità dell’ideatore di questo lavoro, lo stesso Wolbers.
Pensando al nostro Paese ci rendiamo conto quanto sarebbe difficile trovare quest’imparzialità in molti dei nostri “scienziati” nei confronti di loro “creature”…
In terzo luogo, auspichiamo che questo studio abbia un seguito, e che, finalmente!, si prendano in considerazione anche i tradizionali solventi e reagenti per la pulitura.
Che si quantifichino, con la stessa implacabile scientificità, solventi quali la Dimetilformammide e la Butilammina: solventi il cui uso è ampiamente avvallato dalla tradizione, nonostante si conosca bene l’alto rischio per l’integrità strutturale dell’opera e per la salute dell’operatore.

Conclusioni

Tra i possibili reagenti utilizzabili per la pulitura di superfici policrome, i Solvent Gels si distinguono per varie ragioni: per essere stati pensati e formulati in relazione all’uso specifico della pulitura di dipinti, per la loro efficacia e semplicità di utilizzo, e per la loro marcata azione superficiale.

Pur essendo di recente introduzione, hanno già alle loro spalle più studi scientifici di qualunque altra tradizionale controparte. E questi studi dicono che la quantità di residui è trascurabile.

Sono stati espressamente formulati avendo in mente il requisito di massimizzare l’azione superficiale, e gli studi condotti dimostrano che quest’obiettivo è stato di fatto raggiunto. Di conseguenza questi reagenti possono occupare a pieno diritto un posto accanto ai più tradizionali metodi di pulitura di beni artistici.

Con la consapevolezza di questa “pari dignità”, questi reagenti sono correntemente utilizzati presso Istituzioni quali l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, varie Soprintendenze, scuole e centri di formazione, e numerosi laboratori privati.

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